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Alfabeto

L’alfabeto è un sistema fonetico di un determinato numero di simboli associati ai suoni elementari di una lingua.

La parola alfabeto deriva dal latino alphabetum che è composto dalla coniugazione di ἄλφα o alfa e βῆτα beta, le prime due lettere dell’alfabeto greco.

 

L’alfabeto è sinonimo della parola alfabeto moderno che sostituisce le lettere greche con le lettere a, bé e cé e può essere usato in modo intercambiabile. Tuttavia, si raccomanda di usare la parola alfabeto per altri sistemi di simboli e/o sistemi fonetici, poiché è più abbreviato di abecedario.

Storia della scrittura

Nel 1929 e nel 1930, nel sito di Ugarit, nel nord della Siria, gli archeologi scoprirono delle tavolette incise con caratteri cuneiformi di un tipo sconosciuto, risalenti al XV-XIV secolo a.C.

La loro decifrazione ha stabilito che sono caratteri alfabetici consonantici, che trascrivono una lingua semitica. Sono probabilmente l’origine del nostro alfabeto.

alfabet

Storicamente, le condizioni culturali sono state a lungo favorevoli all’emergere della scrittura alfabetica, che fa parte di un movimento generale volto a semplificare l’ortografia e a cercare la precisione nell’espressione scritta.

L’esempio più eclatante è quello della scrittura egiziana che, a partire dal regno del secondo re della I dinastia (IV millennio a.C.), presenta, in parallelo alla scrittura ieratica, un alfabeto consonantico di 24 segni geroglifici.

Se gli egiziani non fossero rimasti ostinatamente fedeli ai principi della scrittura ideografica, avrebbero potuto diffondere l’alfabeto nei primi secoli successivi all’invenzione della scrittura.

D’altra parte, la scrittura ideografica fonetizzata, caratteristica della lingua sumero-accadica (IV-II millennio), la scrittura ittita (II millennio) e la scrittura micenea (XV secolo a.C.), gioca probabilmente un ruolo precursore nella successiva concezione dell’alfabeto.

È molto probabile che l’alfabeto ugaritico sia stato creato a partire da una scomposizione fonetica dei segni sillabici sumero-accadici, permettendo la formazione dei trenta caratteri consonantici di cui è composto.

Le prime lettere

L’alfabeto ugaritico non sopravvisse ai popoli del mare che invasero l’Egitto e parte del Vicino Oriente a partire dal XIV secolo a.C.; tuttavia, fu recuperato un secolo dopo, dopo la rinascita politica della Fenicia, e rifuso nell’alfabeto noto come «alfabeto di Byblos».

La prima prova dell’uso di questo nuovo alfabeto è un epitaffio del re Ajiram di Byblos, inciso sul suo sarcofago e risalente al regno del faraone Ramses II (1300-1234 a.C.).

Se si accetta l’ipotesi della trasmissione ugaritica dell’alfabeto, piuttosto che un’invenzione indipendente, il contributo dei Fenici è quello di modificarlo. Hanno anche semplificato la forma dei segni, riducendo il loro numero da trenta a ventidue.

Il contributo dei Fenici

I Fenici sono anche gli agenti della sua diffusione nel mondo mediterraneo. Questo ruolo è confermato sia dalle prove epigrafiche che dai commenti di Erodoto, Diodoro di Sicilia, Plinio e Tacito. Più tardi, i greci perfezionarono il sistema fenicio introducendo le vocali (VIII secolo).

L’invenzione dell’alfabeto

L’alfabeto è stato un passo cruciale per l’umanità. La sua adozione costituì una vera democratizzazione della scrittura. La scrittura non era più un’arte che poteva essere padroneggiata solo dopo anni di pratica.

La relativa semplicità dei suoi principi aprì le porte della conoscenza a strati della popolazione che non appartenevano più necessariamente alla casta degli scribi o dei sacerdoti.

Così, l’adozione dell’alfabeto toglie la scrittura dal suo quadro ideografico e la colloca in un contesto fonetico, che è lo stesso della lingua. D’ora in poi, tutte le combinazioni di pensiero possono essere espresse dalla permutazione quasi algebrica dei segni associati ai suoni.

Tale possibilità facilita la scoperta, la conservazione e la diffusione delle idee. Questi vantaggi garantiscono all’alfabeto una fortuna eccezionale: ad eccezione dell’Estremo Oriente e delle Americhe, il suo principio è universale ed è stato adottato in modo duraturo.

Nelle sue Storie (V, 58-59), Erodoto descrive come l’alfabeto fenicio fu trasmesso ai greci. Questo documento, di grande importanza storica, è anche il più antico testo che tratta una questione linguistica:

«Stabilendosi nel paese, i Fenici che vennero con Cadmo… portarono ai Greci molte nuove conoscenze, tra cui l’alfabeto, sconosciuto fino ad allora in Grecia secondo me: prima era l’alfabeto ancora usato dai Fenici, poi, con il tempo, i suoni si sono evoluti così come la forma delle lettere».

«I loro vicini erano per lo più greci ionici, impararono dai fenici le lettere dell’alfabeto e le usarono con qualche modifica; adottandole, diedero loro – ed era giusto, visto che la Grecia le aveva prese dai fenici – il nome di caratteri fenici…».

«Io stesso ho visto, nel tempio di Apollo Ismenius a Beoda lebas, dei caratteri cadmiani (fenici) incisi su tre tripodi: sono, in generale, identici a quelli ionici. Uno dei tripodi porta questa iscrizione: Anfitrite mi consacrò al dio, sul bottino di Teleboens».

«Senza dubbio la questione risale al tempo di Lalos, figlio di Labdacos, egli stesso figlio di Polidoro e nipote di Cadmo».

L’alfabeto per i ciechi

Il primo a concepire l’idea della scrittura in rilievo per i ciechi fu il calligrafo parigino Valentin Haüy. Nel 1793, produsse una scatola di caratteri corsivi semplificati, stampati in rilievo, per i ciechi dell’istituzione che aveva fondato nel 1785. Il suo successo fu minimo.

L’inglese T. M. Lucas riprese l’idea e, ispirato dalla stenografia, creò un alfabeto di simboli fonetici in rilievo con cui pubblicò una trascrizione del Nuovo Testamento nel 1837. Il suo compatriota James H. Frere migliorò notevolmente questa procedura inventando il sistema della linea di ritorno, che fa andare le linee di un testo da destra a sinistra e poi da sinistra a destra, in modo che il dito non perda il riferimento.

Louis Braille, allievo dell’istituto per giovani ciechi di Haüy, aveva sedici anni. Nel 1825, ideò un sistema completamente nuovo che permetteva ai ciechi non solo di leggere, ma anche di scrivere. Deriva dalla «scrittura notturna» con segni a dodici punti, costruita dall’artigliere Charles Barbier durante le guerre dell’Impero (napoleonico); fu poi semplificata e sostituita da segni a sei punti.

Il sistema Braille fu adottato solo dopo il 1850, e si diffuse all’indomani del Congresso Internazionale di Parigi del 1878.

L’interesse principale del sistema Braille, in cui ogni combinazione di punti (da 1 a 6) costituisce un segno, sta nella sua comodità per la scrittura. Si scrive con un semplice stilo, in assenza di una macchina da scrivere. Questo permette alle persone cieche di corrispondere tra loro.

Nel XX secolo, il numero di volumi stampati in Braille ha portato allo sviluppo di macchine elettroniche in grado di memorizzare lunghi testi in un piccolo volume. E di trascriverli per il lettore in un’area tattile che si srotola man mano che il lettore avanza.